L’Europa vuole fare a pezzi Google

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Ci sono un paio di questioni che fanno pensare che la vecchia, vetusta, lenta Europa non ami per niente Google e soci. E a dire il vero a qualcuno è venuto anche in mente che poiché non c’è uno che uno straccio di impresa europea che tenga il passo dei colossi americani, Google, Amazon, Facebook etc in testa, sia meglio tirargli un qualche sgambetto per vedere se si riesce a limitarne un po’ la lo strapotere almeno in Europa.

Separare il motore di ricerca dalle altre attività commerciali

Prima di tutto c’è la questione delle richiesta di separazione delle attività tipiche dei motori di ricerca da qualunqe altre forma di business.
Stiamo parlando di questa raccomandazione del parlamento europeo, in cui si legge:

“to prevent any abuse in the marketing of interlinked services by operators of search engines”, stressing the importance of non-discriminatory online search. “Indexation, evaluation, presentation and ranking by search engines must be unbiased and transparent”

Ovvero per prevenire ogni abuso da parte dei motori di ricerca, relativo al fatto che potrebbero favorire attività ad essi collegati, le modalità con cui vengono indicizzati, valutati, presentati e classificati gli url devono essere rese trasparenti e imparziali.

Rileggendo meglio queste due righe, qualche malizioso potrebbe ipotizzare che la direttiva si riferisca per esempio a siti che comprano pubblicità da adwords, oppure dirette proprietà di Google o affini,  potrebbero essere favoriti nell’indicizazzione. Per questo motivo l’Europa chiede ai motori di ricerca di rendere trasparenti le modalità con cui vengono classificati gli url, cosa che per Google equivale a rendere pubblico il proprio algoritmo di classificazione. In pratica una richiesta impossibile da soddisfare.

La seconda spinosa questione che compare all’interno della stessa direttiva è quella contenuta in queste righe:

Given the role of internet search engines in “commercialising secondary exploitation of obtained information” and the need to enforce EU competition rules, MEPs also call on the Commission “to consider proposals with the aim of unbundling search engines from other commercial services” in the long run.

Ovvero, poiché i motori di ricerca per loro natura possono raccogliere informazioni sul comportamento dei consumatori e possono farne un uso commerciale, si consiglia di separare le attività dei motori di ricerca da quelle dagli altri servizi di tipo commerciale.

Ovviamente non si fa riferimento a Google da nessuna parte, ma anche in questo caso è evidente che se una direttiva del genere andasse a buon fine, Google dovrebbe interporre un muro fra il motore di ricerca e Adwords.
Allo stesso modo Facebook dovrebbe separare il suo servizio di advertising dalla raccolta dei dati attraverso il social, così come Bing e Yahoo dovrebbero separare il motore di ricerca da altre attività di tipo commerciale.

Non è che sia esattamente roba da poco.

Il Diritto all’oblio

“il diritto all’oblio” ovvero “la possibilità di poter cancellare anche a distanza di anni dagli archivi online il il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca” [cit: wikipedia].

Fino a ieri il diritto all’oblio era previsto ma esisteva una sorta di “margine di manovra” tale che fosse garantito all’interno dei confini europei ma nulla si diceva a proposito della cancellazione dei dati al di fuori dell’Europa. In altre parole se un cittadino Europeo faceva richiesta di cancellazione dei propri dati dagli archivi di Google, poteva star certo di non trovarne più traccia all’interno dei domini europei e certamente non all’interno del motore di ricerca relativo al proprio dominio nazionale, tuttavia non c’era garanzia che il diritto all’oblio fosse esteso anche ai domini .com e agli altri domini internazionali. Perciò un cittadino poteva essere certo di scomparire dai google.it, google.fr, google.de e dagli altri motori europei ma non poteva essere certo di non comparire per esempio su google.com.

Il 26 Novembre, l’Article 29 data protection working party, gruppo che si occupa di emanare le linee guida per la tutela dei dati personali in Europa ha però diramato un nuovo documento in cui si legge:

In order to give full effect to the data subject’s rights as defined in the Court’s ruling,delisting decisions must be implemented in such a way that they guarantee the effective and complete protection of data subjects’ rights and that EU law cannot be circumvented. In that sense, limiting delisting to EU domains on the grounds that users tend to access search engines via their national domains cannot be considered a sufficient mean to satisfactorily guarantee the rights of data subjects according to the ruling. In practice, this means that in any case delisting should also be effective on all relevant domains, including .com.

Ovvero secondo il documento emanato dal Working party il delisting non può essere limitato ai domini Europei sulla base del concetto che gli utenti tendono ad accedere ai motori di ricerca attraverso i relativi domini nazionali. Affinché l’efficacia del delisting possa essere considerata sufficiente deve essere invece esteso a tutti i domini anche internazionali inclusi i .com.

Ovviamente in nessuna parte del documento si fa riferimento esplicito a Google, ma si parla più genericamente di motori di ricerca, per cui anche bing, yahoo e tutti gli altri si devono adeguare.

Ora, i principi espressi dal Working Party sembrano essere più che leciti, tuttavia adeguare la richiesta alla complessità del sistema internet e ai motori di ricerca potrebbe essere una impresa non semplice. Di fatto l’interpretazione europea del diritto all’Oblio se pur rappresenta una leggitima richiesta cozza con la presenza dei motori di ricerca su territori non limitati alla sola Europa.

Non si capisce come e perché una normativa totalmente europea dovrebbe applicarsi ad un cittadino Americano. In altre parole se la normativa riguarda l’Europa, perché dovrebbe essere applicata in America. Più probabilmente si potrebbe andare verso la direzione di una “censura” applicata sulla base del provider da cui parte la query di ricerca.

L’altra questione riguarda le persone che hanno una visibilità pubblica: politici, imprenditori etc. Fino a che punto è opportuno cancellare fatti rilevanti relativi a personaggi di dominio pubblico che sono rilevanti nella gestione economica e politica di un paese?

In buona sostanza pur essendo leggitima la richiesta, la sua applicazione non è esattamente semplice.

Foto di copertina by Robert Scoble (CC BY 2.0)